Oltre marie by Nastassja Cipriani & Edwige Pezzulli

Oltre marie by Nastassja Cipriani & Edwige Pezzulli

autore:Nastassja Cipriani & Edwige Pezzulli [Cipriani, Nastassja & Pezzulli, Edwige]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Le plurali
pubblicato: 2023-08-29T22:00:00+00:00


Dalle scienziate alle università

Il 25 giugno 1980, a Londra, durante una conferenza stampa per i corrispondenti statunitensi, Margaret Thatcher pronunciò le famose parole: «there is no alternative» (non c’è alternativa). Con questa frase, che racchiude in modo emblematico la sua visione politica conservatrice, la prima ministra giustificava tutte le ripercussioni del libero mercato, a suo avviso il miglior sistema economico possibile.

Quelle quattro parole furono pronunciate con tono estremamente sicuro, fermo, deciso e, soprattutto, grave. E sarà forse anche per questo che la sua eco arriva ancora a noi oggi.

La voce di Margaret Thatcher, almeno a partire dal suo primo mandato, era estremamente bassa e profonda, risultato di mesi e mesi di allenamento con una vocal coach (un’esperta di tecniche vocali), che le permise di abbassare di 60 hertz la sua frequenza naturale. Fu così che da acuto e stridulo, Thatcher guadagnò un tono possente e fermo.

Quale fu il motivo che portò una delle prime donne protagoniste della scena politica europea moderna a prendere lezioni per abbassare la sua voce? Probabilmente, l’idea che un tono più grave potesse generare più autorevolezza e rispettabilità agli occhi (o alle orecchie) di chi l’ascoltava e, di conseguenza, che si adattasse meglio alla carriera politica.

Questa convinzione non è legata a una strana fisima di Thatcher: in uno studio del 1998, la specialista in logopedia Cecilia Pemberton scoprì che, dal 1945 al 1990, il tono di voce delle giovani donne si era abbassato di circa 23 hertz, in concomitanza con la presenza femminile ai vertici della società. Si tratta, a quanto pare, di un meccanismo più o meno cosciente attraverso il quale le donne cercano di proiettare verso l’esterno un’immagine di autorevolezza, per essere rispettate nei ruoli di prestigio, responsabilità o leadership in cui si trovano a operare in contesti professionali. Una domanda a questo punto sorge spontanea: si ha davvero bisogno di avere una voce “da uomo” per essere prese sul serio?

La storica Mary Beard, professoressa all’università di Cambridge, ha tenuto nel 2014 una conferenza dal titolo “The public voice of women” (“La voce pubblica delle donne”). In questo suggestivo discorso, che parte da Omero e dalla mitologia greca, passa per l’impero romano e arriva fino all’era contemporanea, la storica ha inquadrato la questione della voce delle donne, cioè quella che le donne hanno oggi nella sfera pubblica, partendo dalla tradizione culturale da cui le società d’Occidente discendono.

Già dalla comparsa delle prime prove scritte della cultura occidentale, spiega Mary Beard, appare chiaro che le voci delle donne non erano ascoltate. Ma più di questo, proprio come dice Omero, parte integrante della crescita di un uomo era «imparare a prendere il controllo dell’espressione pubblica e a mettere a tacere la femmina della specie».

Tuttora, prosegue Beard, quando ascoltiamo una voce femminile non sentiamo una voce autorevole. O meglio, non abbiamo imparato, né ci è stato insegnato, a sentire autorevolezza in essa a causa di attitudini, assunti e pregiudizi che sono fortemente radicati dentro e fuori di noi, nel linguaggio e in millenni di storia.

Ed è vero: quando



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